I miei Amici: Denudati e Ubriachi

I ritratti di Sienna Reid

di Alison Gates

 

 

Alla fin fine, trovo che questa mostra è…, posso dirlo? Divertente.

L’ultima volta che Sienna Reid ha fatto un’esposizione è stato alla Collusion Gallery nell’agosto 1997, dal titolo "I miei Amici, Denudati"; in quell’occasione mi sono avvicinata ai lavori con un certo timore. La paura si è tramutata in rispetto nel momento in cui mi sono resa conto che Reid ha mostrato un entusiasmo intriso di destrezza postmoderna nell’uso di una delle forme più antiche di pittura, il ritratto del nudo, per convogliare sulla tela un nuovo tipo di onestà e di onore degno del tardo ventesimo secolo. Eppure, malgrado il fatto che "I miei Amici, Denudati" mi avesse fatto pensare al meglio nel settore degli Alti Pensieri dell’Arte, mi sono sentita di nuovo pervadere da una ansia gelida quando mi hanno riferito il tema dell’esposizione in corso: "I miei Amici, Ubriachi".

Perseguitata dalla nozione erroneamente radicata che l’ubriachezza è uno stato non dignitoso dell’essere e disturbata dalle immagini poco digeribili che d’istinto si creavano ogni volta qualcuno parlava del nuovo progetto di Sienna, mi sono trascinata dalle parti di Pioneer Square per incontrarla alla galleria in un tardo pomeriggio di giugno. Accatastati contro la parete c’erano 36 quadri in attesa di essere appesi di persone intensamente reali. Tutti mi sembravano familiari, e nessuna immagine aveva la benché minima rassomiglianza a quegli emarginati che avevo appena incrociato per strada dalle parti di Occidental Park, in preda alla sonnolenza dovuta agli effetti dell’alcool. Mettendomi sulla stessa lunghezza d’onda di Reid, non mi soffermerò sulle pretese artistiche e affermo invece di botto, che "I miei Amici Ubriachi" è una vera gran festa, dove già da almeno un’ora il boccale continua ad essere riempito, il miscelatore funziona per un ulteriore giro di margaritas e qualcuno ha appena stappato un’altra bottiglia di Chianti. Ci sono patatine e noccioline? Ci dovrebbe essere nel congelatore un contenitore di cubetti di ghiaccio.

Le espressioni che pervadono i soggetti della pittrice sono così squisitamente degne dei gentili inebriati che migliaia di conversazioni udite senza averne l’intenzione sembrano riempire la stanza. Benché le uniche persone animate nella stanza siamo Reid ed io, insieme a uno dei tre fratelli gestori del Collusion, ho l’impressione di stare a discutere nel mezzo di una festa degna di essere ricordata, o un bar molto affollato… o un ricevimento in occasione di un matrimonio con gente interessante. Il tutto deve essere capito, ci troviamo in mezzo alle raffigurazione di coloro che costituiscono una specie in via di estinzione, gli Ubriachi Sociali. Rappresentazioni di quel tipo di gente che inizia a parlare quando beve: donne che si vestono con cura per il momento, e uomini che con naturalezza si appoggiano ai loro compagni, liberi dall’auto-coscienza della sobrietà. L’effetto della mostra viene intensificato dal fatto che la maggioranza dei ritratti ha, più o meno, la dimensione reale della testa e delle spalle; guardando questi dipinti si ha l’impressione di avere una conversazione con un’altra persona.

Quando sono arrivata all’inaugurazione, alcuni giorni dopo aver incontrato Reid, con i dipinti appesi all’altezza dello sguardo, il melange atmosferico delle persone reali con l’arte ha dato alla galleria una sensazione di divertimento snobbistico, ulteriormente accentuato dal marito di Reid, Ives Jacques, che suonava un organo Hammond con vicino un boccale di birra.

In ogni caso, come prassi richiede, ho chiesto a Reid cosa, nel presente contesto, avesse tentato di illustrare. Mi ha riferito che la sua intenzione risiedeva nel convogliare il movimento nei dipinti, mostrandomi quelli che secondo lei erano i migliori, sarebbe a dire, i due più grandi e il primo e l’ultimo della serie, in senso cronologico. Ognuno mostra un gruppo di vari personaggi in stretta connessione l’uno con l’altro. La qualità della luce dà un’impressione leggermente strana, eppure familiare: la lampadina che illumina dal soffitto di una cucina, forse, o il riverbero giallo del sole su di un pontile in una serata d’estate. Mi disse che le immagini sono dei rifacimenti tratti dalle fotografie scattate durante la sua ultima inaugurazione o a feste che lei e il marito avevano dato negli ultimi anni. I dipinti costituivano un insieme di fotografie, come nel caso del gruppo seduto, o risultavano immagini isolate tratte da fotografie singole. La luce elettrica slavata conferisce, a volte, una paletta misteriosa, facendomi ricordare la donna dal viso verde nel ritratto "Al Moulin Rouge" di Toulouse-Lautrec del 1892, ora tra le opere acquisite dell’Art Institute a Chicago.

Ragion per cui non sono stata sorpresa quando è stata Reid stessa a far riferimento a Toulouse-Lautrec. D’improvviso mi sono resa conto che ce l’ha fatta, ancora una volta, ad emergere con quella sua strana Storia dell’Arte Alchemica. Intendo dire, gli ubriachi costituiscono un soggetto varie volte rivisitato… ci ricordiamo bene della serie di Franz Hals. I ritratti degli ubriachi risalgono probabilmente al periodo degli autoritratti, dato il comune strato sociale degli artisti nella Società Occidentale. Proprio come è successo con i gli amici denutati, Reid è fuoriuscita con l’audace rivendicazione che il soggetto era esattamente ciò che rappresentava: i suoi amici nell’atteggiamento lampante di ciò che rappresentavano.

La maggiore differenza tra "I miei Amici, Denudati" e "I miei Amici, Ubriachi" è costituita dal cambiamento tecnico della Reid. Tutte le immagini nell’esposizione dei Denudati sono state ritratte dal vivo, con il modello seduto nella stanza e lei al lavoro. Mentre tutte, ad eccezione di due ritratti (e un autoritratto) nella mostra degli Ubriachi, provengono dal suo archivio fotografico festaiolo. Asserisce di non aver mai lavorato da delle fotografie prima di allora e ambedue abbiamo trovato che i risultati sono sorprendenti. Il lavoro con i modelli seduti di fronte a lei conserva una strana rigidezza quando paragonato al nuovo impegno e non credo abbia a che vedere con un progresso significativo nello sviluppo pittorico già impressionante della Reid. Quando ho visto i denudati per la prima volta, mi avevano colpito per la rilassatezza della postura; mi ricordo che i modelli erano comodi in presenza dei Loro Amici, i Dipinti. Comunque, questi modelli (e molti sono stati i modelli per i ritratti dei denudati come per quelli ubriachi) sembravano ancor più comodi in presenza dei Loro Amici, i Tracannatori.

Tra anni, il lavoro dell’autrice verrà giudicato forse come l’individuazione di un momento storico-sociale per rappresentare il modo di vivere nell’Era della Macchina Fotografica Onnipresente. La maggior parte dei bambini americani nati dopo la Seconda Guerra Mondiale vengono fotografati di continuo e le foto sottolineano ogni occasione importante della vita. Di certo il posare per un ritratto a olio è ben raro di questi tempi – perfino l’artista che schizza la caricatura alle fiere risulta una novità. D’altro lato, vivendo nell’età della videocamera, il cam-corder e l’immagine digitale per il CD-ROM, non si è di certo sorpresi quando qualcuno ad una festa ci punta addosso una macchina fotografica. Tutti noi abbiamo un lato che non é il migliore e un secondo dopo lo scatto pensiamo: "Speriamo di non aver chiuso gli occhi". Comunque, dopo un paio di bicchieri, la macchina fotografica non ci spaventa più, neppure ci intimidisce; ogni giorno risultano incontabili le volte in cui ci troviamo di fronte a delle fotografie, alla televisione, nella pubblicità e nello svolgersi delle relazioni quotidiane con gli altri.

Per quanto riguarda la pittrice, ci si può chiedere se anche lei si è sentita, in qualche modo, più libera nel processo. Tutti sappiamo che la fotografia ci può prendere di sorpresa in una posa poco lusinghiera, è comunque un’immagine creata da un insieme a volte non prevedibile. Non si deve accusare nessuno, in realtà, se il fotografo è un principiante e la foto non è ben riuscita. Un fatto quindi, comunemente accettato, e che conferisce a Sienna Reid la libertà di dipingere l’immagine che la macchina fotografica ha catturato, senza la responsabilità di dover giustificare il perché un naso con la gobba non sia stato raddrizzato, anche se solo un po’. Non è stata Reid a riferirmi questo. Il suo pensiero fondamentale verteva sul movimento. Voleva catturare un po’ di quell’ambiente tipico dei film di Fellini, di quel tipo di carne che riporta a Bacon, e infine ma non per ultimo, la qualità dell’improptu di quelle fotografie scattate con nonchalance.

Costituendo questo il primo tentativo di dipingere direttamente dalle fotografie, vi è da lodare l’ottima selezione delle immagini. Vi sono forse delle posture con lo sguardo diretto verso l’esterno tra i lavori di formato più piccolo nei quali si ritrae la testa di una sola persona. I membri del gruppo interagiscono ma non necessariamente guardandosi l’un l’altro, alias "Il pranzo sull’erba" di Manet. Questo mi ha spinto a chiedermi: "A una festa, la maggior parte della gente guarda la persona con la quale sta interloquendo? O passa forse più tempo a considerare gli altri nella stanza? Si scruta la porta o si analizza il fondo del bicchiere?" La stretta prossimità dei corpi nel momento in cui si gustano delle bevande alcoliche sembra negare l’importanza di un contatto visivo prolungato e il linguaggio del corpo si fa più ambiguo.

Per la prima volta, Reid ha cercato di rappresentare i vestiti, includendo pure altri oggetti, come i bicchieri e le bottiglie, in quelli che sono i suoi tipici ritratti della figura umana. Abbiamo parlato del fatto di dipingere i tessuti, dato che è l’unica cosa che personalmente io abbia mai considerato trattare in pittura. Lei stessa è rimasta allibita da quanto il tessuto sulla figura umana l’abbia affascinata, quando per tutto l’arco della sua carriera, non ha considerato che la muscolatura nuda. L’aggiunta dei bicchieri nasce in parte da una sfida lanciatale dalla persona con la quale condivide lo studio, specializzata in natura morta. Di certo non erano richiesti quale artificio per alimentare la narrazione del ritrarre il consumo delle bevande, dato che in effetti sia le immagini di formato minore con una o due teste, che i ritratti di formato maggiore, indicano chiaramente lo stato di ubriachezza. I dipinti più grandi danno maggiori informazioni sul tempo e il luogo, ma permane ugualmente una forte intimità, il che mi ha fatto ricordare una citazione dal Grande Gatsby: "Mi piacciono le grandi feste, sono molto più intime". Benché la suddetta constatazione preceda la macchina fotografica istantanea, una festa con molti convitati è decisamente intima quando, a causa di una quantità di corpi nel salotto, non si riesce a collocarsi tanto lontano da individuare non più di due persone sedute sul divano.

Dopo la nostra conversazione, Reid mi ha presa in disparte per mostrarmi il suo lavoro, ed è stato allora che ho notato un paio di altri artisti di nostra comune conoscenza, Jenny Hacker e Wendy Hanson, come il marito di Reid e l’artista stessa. Ho ricordato quanti drink ho avuto con queste persone negli ultimi quindici anni, e mi sono chiesta quale è stato il momento in cui li ho incontrati per la prima volta. D’improvviso ho pensato: "Bah…! Sarà stato a una festa." Dopo aver esaurito i miei ripensamenti critici sull’arte e sull’idea del bere come momento sociale, mi sono resa conto che l’ultima domanda che avevo per lei era: "Ci facciamo una birra, ora?" E la sua risposta entusiastica è stata: "Sicuro".

Cliccare sulla freccia per passeggiare nella galleria virtuale delle diapositive passate allo scanner dei dipinti di Sienna Reid in mostra alle esposizioni: "I miei Amici, Denudati", "I miei Amici, Ubriachi", più altri suoi dipinti recenti.

 

 

Sienna Reid può essere raggiunta a: sienna@tiscalinet.it

Alison Gates può essere raggiunta a: aligates@hotmail.com