Capitolo 9, Parte A
Ora sai
Vic si nascondeva nella macchia nei pressi di una trincea durante la guerra attento agli spari sopra la testa mormorando tra sé nel tentativo di affogare il rumore. E tanto spesso, proprio per la dolcezza del suo mormorio, gli spari cessavano, allora urlava versi i campi appena allo scoperto prima di precipitarsi nella fuga, sapendo di aver forse rivelato in quel momento la sua posizione. Nella corsa iniziò ad udire la voce di una donna che urlava nell’eco del proprio urlo, e si chiese in che direzione stesse correndo, e tentò di immaginarsi se fosse possibile che si urlassero l’uno all’altra con le urla. Ascoltò vigile le urla di lei, cercando di capire se lei pensava la stessa cosa e se vi racchiudesse un codice di qualche tipo. Forse lei riusciva a seguire meglio le urla di lui di quanto lui riuscisse a seguire quelle di lei, ed emetteva urla brevi per indicarle che si stava avvicinando e urla più lunghe per indicarle che era ancor più lontano. Udì una gamma di urla diverse dalla voce della donna e si chiese se fosse un numero di donne diverse o se lei era torturata in vari gradi. Infine si rese conto di udire tre urla distinte. Una alta e perforante, quasi un canto; una che era mero grito lacerante, e un urlo che era tanto agonizzante che il solo udirlo lo spaventava. Mentre si precipitava ora da questa parte ora dall’altra si rese conto che si stava avvicinando all’urlo che era alto e perforante, che di quando in quando scivolava in canto, e come raggiunse il luogo da dove veniva udì il tuonare di stivali che lo circondava e sfrecciò via dalle urla, serpeggiando a zigzag. Guardando di lato sopra la spalla vide attraverso un’apertura nella macchia una donna sdraiata sul fianco in uniforme che faceva l’amore con un collega ufficiale, e l’ufficiale con il quale era la incoraggiava a urlare più forte e più dolcemente. Corse verso il grito e trovò una bambina che coglieva fiori e non si trovava in alcun pericolo, ben sicura dalle linee di fuoco attorno, e semplicemente mimava ciò che stava udendo. Si piegò per raccoglierla e portarla lontano e il suo grito si trasformò in pianto agonizzante, non rendendosi conto che l’udito di lui era sintonizzato con maggior acutezza all’ascolto degli stivali dei guerrieri che li circondavano nel sottobosco. Iniziò a urlare più forte ancora mentre Vic correva verso l’urlo più agonizzante dei tre. Nell’avvicinarsi all’urlo s’immaginava cosa avrebbe trovato e si rifiutava perfino di pensarvi. L’urlo sembrava il lamento stesso del diavolo. Come raggiunse la voce trovò una donna che gli assomigliava con la gamba imprigionata nella morsa di una trappola per lupi già piegata su se stessa, pronta a strapparsi via la gamba coi denti per fuggire. Rapidamente pose a terra la bambina che corse verso la donna e la donna si dimenticava della gamba e iniziava a nutrire la piccola per sollevarla dal pianto e Vic concentrato sulla trappola per lupi incastrava lo stivale nella trappola e la forzò a leva e l’apri quel tanto da permettere alla donna di liberarsi lasciando Vic solo per pensare a quale movimento veloce fosse utile per rimuovere il piede dalla trappola. La bambina si sporse in basso e gli spinse via il piede ma i denti della trappola tagliarono un dito della piccola troncandolo dalla mano. La bambina guardò il piede di Vic, che era riuscito a liberarsi senza danno, quindi il suo volto. Lui si chinò per raccogliere il dito sanguinante della piccola e glielo porse mentre la donna avvolgeva la mano in un pezzo di stoffa strappata dalla propria camicetta. Lui osservò il viso della bambina che increspava le labbra e cercava di alzare i lati della bocca in un sorriso. Aiutò la piccola ad arrampicarglisi sulla schiena quindi la donna aiutò Vic a salirgli sulla schiena e infine lei cominciò a correre al trotto mimando l’alto urlo perforante della donna soldato, mimetizzando loro tre mentre li conduceva lungo i bordi della macchia miglio dopo miglio dopo miglio fino a portarli al sicuro. Lui scese dalla donna e la piccola scese da Vic e abbracciò la donna mentre egli si spingeva in un campo vicino. Si fece un varco nei campi di frumento, di quando in quando girandosi a guardare la donna e la piccola che divenivano sempre più piccole mentre lui continuava a camminare e iniziò a dare dei colpi al frumento con le braccia che si trasformarono in falci metalliche. A ogni colpo riusciva a raccogliere un’intera bracciata di frumento, mondarlo per il grano, mettere metà raccolto in tasca e strofinare il resto tra le mani prima di fendere un altro colpo al frumento, continuando ancora ed ancora nel processo. Infine stancatosi dell’attività si mise solo a fendere il frumento, lo teneva tra le mani, lo gettava in aria e lo guardava cadere. L’oscurità lo circondava quando girò il capo verso la donna e la bambina che non erano dove le aveva viste l’ultima volta. Nel guadare il campo al posto dove le aveva lasciate, scrutava l’orizzonte solo per scoprire che non riusciva più a vederle. Tutto quello che restava era il dito della bambina e la camicetta che la donna aveva usato per avvolgervi la mano della piccola, che era ora intrisa di sangue. Nel raccogliere la camicia insanguinata, l’aprì per verificare il modo in cui il sangue pareva un’onda schiacciata. Si voltò a guardare il campo di frumento attraverso il quale si era aperto un varco per vedere la donna e la bambina in piedi nel luogo in cui aveva fatto il raccolto, che gli facevano dei gesti di andare da loro mentre il frumento ondeggiava in avanti e indietro e infine inghiotti la donna e la piccola nella scia del cammino che Vic aveva aperto per ritornare dal campo. Stese il braccio per incidere un cerchio attorno all’orizzonte con il dito. Finito il cerchio corse quindi all’orizzonte e seguì la linea che aveva tracciato col dito finché si ritrovò là da dove era partito, per tutto il tempo guardando se stesso in piedi nel mezzo del cerchio con la mano che tracciava i movimenti. Per ogni giro attorno al cerchio correva sempre più veloce, con il cuore che batteva sempre più dolcemente e notando che la forza e la gioia aumentavano. Al posto delle mani gli crebbero delle cornucopie e dove una volta aveva gli occhi si formarono dei cieli. Nella corsa interminabile volse lo sguardo fuori dal cerchio nel quale stava correndo e notò un circolo compatto di facce che circondavano il cerchio in cui stava correndo. Si accorse che vi erano tra queste alcune facce famigliari appartenenti ad anni distinti della sua vita. Noto’ pure che si tenevano la mano a vicenda, quindi ogni persona a turno tirava via la mano per tentare di darla all’altra di nuovo, poi la persona seguente si scioglieva per riprendere la mano dell’altra. E così per tutto il cerchio, ecco cosa vedeva quando le facce si fecero pezzi di domino, quindi facce di nuovo, ancora a sciogliersi per tentare quindi di darsi la mano di nuovo. Le facce litigavano con violenza, poi sorridevano placide, quindi litigavano con violenza, poi sorridevano placide nel momento in cui l’attenzione che prestavano a Vic, all’origine voyeuristica per ciò che concerneva quello che stava facendo, diventava ora indifferenza. Vic guardò le cornucopie che gli erano cresciute in fondo alle braccia, le indirizzò alle mani che si scioglievano dalle altre e vi sparò fiori e frutta e soldi e lettere e cartoline e libri e case e macchine e tutto ciò che sparava fuori non veniva neppure raccolto, e Vic vide il tutto piombare a terra mentre le facce osservavano il tutto cadere poi si inchinarono per stare a guardare affascinate mentre tutto iniziava a imputridire davanti ai loro occhi. Come tutto marciva cominciarono a ridacchiare tra loro tenendosi lo stomaco e inchinandosi isteriche. Si piegarono quindi ulteriormente per raccogliere quello che Vic aveva sparato fuori e iniziarono a mettersi addosso ciò che trovavano come fossero cappelli o spille, deridendone l’esistenza. Le cornucopie sulle mani di Vic scomparvero nel momento in cui lui alzò le mani al viso per deformarlo mentre continuava a correre, le facce guardarono Vic mentre si deformava il volto e risero ancor più forte, smisero quindi di ridere completamente, preoccupate di offrire le mani l’uno all’altro prima di tirarle via. Vic si eclissò dalla folla e loro scomparvero. Si voltò a guardare di nuovo nel centro del cerchio e si vide mentre ancora tracciava movimenti e al contempo correva giro dopo giro del cerchio sull’orizzonte. Stava correndo così veloce a questo punto che quando cercò di fermarsi per riposare inciampò, rendendosi conto di quanto veloce in effetti stava correndo. Nel tentativo di rallentare, capì che avrebbe avuto bisogno di per lo meno due o tre giri del cerchio, allora cercò dei posti nel cerchio che avrebbe voluto raggiungere quando si fosse fermato. Appena trovò un luogo nel quale si sentiva soddisfatto, fu indotto ad alzarsi per correre a un altro. Impedì al proprio corpo di correre e scoprì che benché non si muovesse attivamente, era comunque preso nell’inerzia che sembrava muovere e fluttuare a caso. Infine percepì un disegno nel movimento e nel flusso dell’inerzia nei quali era sospeso e decise di non provare a trovare un luogo per fermarsi completamente, ma di permettere all’inerzia di muoverlo in avanti semplicemente dove voleva. D’improvviso si sentì più che felice e si distese per gustare la sensazione ma fu solo preso da un attacco di vertigini che lo fece vomitare con violenza dagli occhi tutte le immagini delle facce che aveva visto fuori dal cerchio. Quando tutte le facce furono ripulite dal suo sistema, percepì un senso di sollievo ma solo molto breve nel momento in cui il suo corpo d’improvviso si piegò in due, distrutto dal dolore, e gli occhi esplosero nel momento in cui la sua immagine vi passò attraverso e gli giacque di fronte ansimando e tremando, le gambe ridotte a moncherini insanguinati e la carcassa a contorcersi per terra. Si chinò e si abbracciò e come mise l’orecchio al cuore udì il battito galoppare sempre più leggero e più leggero fin quando si rese conto che stava tentando di formare delle parole. Nell’ascoltare più da vicino il cuore non riuscì a capire ciò che con l’ultimo rantolo come un pigolio urlò.
Si svegliò in un bagno di sudore e trovò che si stava tenendo ad Estrelica, si rese conto di dov’era e l’ansimare si attutì, focalizzando che lei stava ancora dormendo e sempre aveva dormito. Rimase lì un po’ nell’oscurità tenendola ancora valutando per quanto tempo aveva dormito. Il corpo di lei si mosse leggermente quando Vic tentò di staccare il proprio da quello di lei e lei si girò e si riaccomodò. Sdraiato sulla schiena vedeva le ombre sul muro di fronte dei rami dell’albero fuori che nel vento ondeggiavano in avanti e indietro simili ad alberi che offrivano mani da tenere, poi si scioglievano, poi le offrivano, poi le toglievano. Cercò di richiamare quello che aveva appena sognato ma riuscì a salvare solo il fatto di aver corso, di aver trovato una donna e di aver visto se stesso. Tutto il resto era offuscato. Si alzò lento dal letto in modo da non svegliarla e si avventurò nella prima stanza nell’oscurità. Notò che l’aria era umida e si chiese se fosse solo all’interno dell’appartamento o se lo fosse anche fuori. Benché fosse nudo si sentiva incredibilmente caldo ed ebbe il desiderio di uscire per un po’ d’aria fresca. Voleva una sigaretta, così prese l’accendino dalla tasca della gonna di Estrelica che era ancora sul pavimento ma si ricordò che era abbastanza scarico e si guardò in giro per la stanza alla ricerca della ricarica finché gli venne in mente di averne vista una sul porticato vicino a un vecchio barbecue con qualche vecchia formella. Era ancora mezzo addormentato e si dimenticò di prendere una sigaretta dato che era concentrato sul carburante. La sua nudità fu l’ultima cosa a cui face caso. Lasciò la porta dell’appartamento socchiusa per scendere le scale e avviarsi al portone principale della casa, uscì e iniziò a camminare in senso antiorario attorno all’edificio. Trovatosi proprio sotto l’albero che aveva visto attraverso la finestra dai rami sospinti in avanti e indietro, guardò verso l’alto pensando a lei che lì stava dormendo. Continuando a camminare notò che stava raggiungendo un giardino e un ritaglio di prato che si collegava al lato della casa. Una vecchia panca di legno era collocata proprio nel mezzo del prato vicino a un alberello, camminando sull’erba bagnata raggiunse la panca e vi si dispose con un piede su di un braccio, aprì l’accendino per togliere l’astuccio. Si rese conto di aver dimenticato di prendere una sigaretta e infine si rese conto di essere sveglio. Si vide nudo nel mezzo della notte con i piedi freddi seduto su di una panca mentre riempiva un accendino senza una sigaretta da accendere e rise. Armitage gli saltò sopra, facendolo sussultare, ma il sussulto non spaventò il gatto. Gli si adagiò sui lombi e iniziò a guardare Vic.
"Allora sei pronto a conoscermi?" borbottò Vic.
Armitage continuava a guardare Vic giocare con l’accendino.
"Allora, dimmi, chi è lei veramente? E’ da un po’ che è tua... allora, è una giusta, vero? E io? Mi approvi? No, neppure io lo farei."
Finì di riempire l’accendino, fece scivolare di nuovo l’astuccio e quindi provò a vedere se funzionava quando una fiamma blu ingolfò l’accendino quasi bruciandogli le dita. Continuò a riaccenderlo fino a quando quasi tutto il liquido in eccesso fu bruciato. Armitage lo osservava senza divertirsi. Vic notò un disegno sul lato dell’accendino e lo tenne acceso per riuscire a distinguere di che tipo fosse. Fu in grado di intravedere l’insegna che stava per svanire di una nave della Marina degli Stati Uniti: la U.S.S. Stein, e si chiese a quale marinaio lei lo avesse rubato. Con uno scatto chiuse l’accendino e lo mise per terra vicino al contenitore del carburante e diede un’occhiata ad Armitage.
"Allora, gatto; dimmi in che modo posso essere il suo valentino. Devi averne visti abbastanza arrivare in truppe per sapere chi le piace. Le mostro ora il mio tatuaggio o dopo? Mi farà felice o sei tu il suo primo uomo?"
Vic accarezzò Armitage ancora un po’, poi provò a prenderlo in braccio ma Armitage saltò giù e se ne fuggì via, guardandosi indietro verso la figura nuda che si rilassava sulla panca.
"Sì, pure io." Vic mormorò a se stesso mentre prendeva l’accendino e il carburante e si incamminava verso l’entrata principale della casa, lasciava il carburante vicino alle formelle e toglieva il giornale ingiallito che aveva usato per tenere il portone aperto. Salì le scale e ritornò nell’appartamento di Estrelica e chiuse la porta gentilmente. Si guardò attorno alla ricerca di una sigaretta e trovò un pacchetto in cima a un blocco per gli appunti nella camera da letto e ne fece scorrere le pagine e notò una lettera a qualcuno indirizzata a J. Dove. Non si preoccupò di leggerla, ma saltò alla prima pagina vuota e trovò una penna in un cassetto della scrivania. Accese una sigaretta e mise una qualche parola su carta.
Vive vicino al porto
e per anni è rimasta
a mostrare le palme
alle ragazze brune
che sanno di dover vagare
al mare quando morde
e la nebbia e la notte
e il vento per lasciarsi trasportare
E’ lei una vedova
o l’ultima sorella rimasta
di una lunga linea di zitelle
con un viso che ha tenuto
fuori dalla portata
di ogni gloria
fuori dalla portata
di ogni morsa
che avrebbero potuto addolcire
ciò che e’ rimasto del suo cuore
Solo un piccolo bicchiere d’acqua
lei disse
Prendilo dalle colline
e versalo nella baia
Ma io non sono che un elettricista
e le stanze sul retro che frequento
sono tanto lontane e violente
dal porto che voglio
solo in attesa di una stagione
solo per nessuna ragione
solo per mostrarle un viso
solo come il suo
Ora la sua gonna di velluto
si volta alla strada
Si adatta al passo
come una bambina disse
di non parlare allo straniero
che ha scommesso la vita
e un giorno
lei lo porterà di ritorno a casa
Solo un piccolo bicchiere d’acqua
lei disse
Prendilo dalle colline
e versalo nella baia.